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Questo post (il cui autore è citato) è tratto dal Forum QDS - Quelli Del Sito. (http://www.quellidelsito.it)
Ero molto indeciso se postarlo qui oppure sull'argomento dell'Essere Sardi. In ogni caso, è troppo bello per lasciarselo scappare, e allora lo riporto. Esistono soddisfazioni intime, tutte nostre, che se ci domandassero di spiegare o lasciar metabolizzare agli altri, avremmo grande difficoltà ad esternare: perché partono da talmente lontano, e ci avvolgono in modo talmente totale ed imprescindibile, da lasciarci incapaci di comprenderle; a noi stessi, anzitutto. Perché si tratta di piacevolezze apparentemente senza un motivo logico, e che non risiedono solo nella testa, nella mente, nei pensieri o nel cuore, ma dalle quali ci sentiamo interamente avvolti, come in un ovattato grembo materno. In fin dei conti si tratta solo di dar due calci ad un pallone tentando di infilarlo nella porta avversaria. E' vero, detto in questi termini è riduttivo. Impietosamente banale. Ma quello che ho provato ieri sera a quel triplice fischio io - come tanti di voi che mi leggete - davvero, non saprei spiegarlo. Perché non era solo gioia, non era solo spavalda soddisfazione, non era solo una liberazione. Era qualcosa di più inspiegabile, che partiva da un punto imprecisabile e sperduto del DNA della nostra Sardità. Era come una rivincita, come l'incredulità raggiante di Davide che vede Golia abbattuto dalla fionda. Era l'orgoglio rinato, era la forza interiore rivelata, era la rinascita di qualcosa che dentro di noi non si era mai spento. Io ho pianto in silenzio per una manciata di secondi, senza dire una parola, come se le grida, le immagini provenienti dallo stadio, la classifica, i "bravo" dei commentatori non esistessero, o fossero una nota trascurabile. Quello che mi commuoveva era una gioia mia, tutta e solo mia, una gioia tanto più intensa quanto meno sperata, sì. Era uno sconvolgimento interiore senza una spiegazione confortante e credibile. Anche se alla resa dei conti si trattava solo di dare due calci ad un pallone. Ma io mi illudo che questo modo di gioire, di sentirsi orgogliosi, di assaporare la rivincita di un popolo che per troppo tempo è stato considerato solo "abitante di un bel posto", sia e possa essere ed appartenere solo a noi Sardi. Almeno, provata in questo modo e con questo coinvolgimento. A chi non fosse Sardo e mi leggesse, potrei apparire patetico e qualunquista; potrebbe affermare che sono un presuntuoso ragazzotto convinto che il mondo giri attorno al risultato di una banale partita di calcio. Ma chi è Sardo ha capito molto bene cosa io intenda, anche se non trovo le parole giuste o più convincenti per spiegarlo. Io credo che persino il modo di tifare del Sardo sia diverso: più rispettoso degli altri, meno denigratorio, più composto ed orgoglioso. E' parte del nostro modo di essere, un modo tutto nostro sparso a macchia di leopardo in tutto il mondo. Ieri sera per radio ho sentito voci commosse provenire dalla Germania, dalla Francia, dall'Inghilterra, dall'Australia, dagli Stati Uniti, dal Canada. Sardo è dappertutto, Sardo è ovunque, Sardo è soprattutto dentro di noi. Forse potrà sembrare sciocco o puerile, ma oggi risvegliandomi e ricordando ciò che i nostri ragazzi vestiti di rosso ci hanno regalato ieri, mi sono sentito più Sardo di sempre. E sono certo che come noi tutti quei ragazzi, anche quelli nati in Brasile o in Toscana, in Veneto o in Piemonte passando dalla Lombardia e dall'Emilia, idealmente si siano stretti e raccolti attorno ad un unico ballu tundu. ...eppure sono solo due calci ad un pallone. Nopothoreposare |