La civiltà nuragica

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.pierlu.
icon12  view post Posted on 21/2/2009, 22:54




Grazie al comandante per questo spazio al quale tengo veramente tanto. Prometto di non tediarvi e quando scrivo termini troppo tecnici vi prego di tirarmi le orecchie e chiedere, chiedere, chiedere. :D

Iniziamo raccontando che in Sardegna intorno al 2000 a.C. si stava davvero bene. C'era ricchezza di alimenti, di minerali, di uomini colti e religiosi...e tutto ciò lo possiamo leggere nelle bellissime decorazioni delle ceramiche di Monte Claro e del periodo del Vaso Campaniforme. Di lì a poco, nuovi uomini arrivati forse da oriente, si insediarono pacificamente nel territorio portando conoscenze nuove che si intrecceranno con quelle indigene e sfoceranno nel 1800 a.C. in quella evolutissima civiltà che prende il nome dai nuraghi: la civiltà nuragica.

Brevemente...giusto per non anticipare argomenti complessi che è meglio snocciolare nel tempo...l'archeologia è una scienza che parte dall'esame dei reperti rinvenuti nelle stratigrafie per cercare un'interpretazione che si avvicini il più possibile alla realtà del tempo.

Per i non addetti ai lavori mi limito a dire che una stratigrafia è uno scavo più o meno profondo che viene esaminato verticalmente...un pò come se andaste a vedere una parete nella quale nel tempo si sono accumulati, uno sopra l'altro, gli stratyi di frequentazione dei popoli che hanno vissuto da un certo periodo (la profondità massima dello scavo) fino ad oggi (la superficie attuale).

Nelle stratigrafie si trova un pò di tutto e abbiamo riscontrato che i resti di pasto erano abbondanti e diversificati (molluschi, ossa di animali vari...). Inoltre si esamina il contesto e si è notato che gli strati fra il 2100 a.C. e il 1900 a.C. mostrano ceramiche ricche, colorate, decorate e luccicanti (invetriate). La civiltà nuragica, al contrario, mostra ceramiche inornate, opache, bruttine...come se fossero prodotte per uso domestico. Scusa se utilizzo un linguaggio così "a contos" ma visto che la materia è pesante di per sè...è meglio renderla fruibile a chi si vuole avvicinare per curiosità, così non scappa subito. :D

In conclusione...si arriva a fare queste conclusioni in un solo modo: studiando, scavando, confrontando e ipotizzando. Quando le ipotesi sono verosimili si cerca di renderle scientifiche applicando le stesse regole in altri scavi e comparando i risultati.

Ecco una stratigrafia eseguita a Tharros (Muru Mannu) dove sono evidenti i segni di 2500 anni di storia della cultura materiale.
Dopo un primo momento di perplessità...fate la caccia al tesoro: troverete di tutto!

image

Da domani...qualche volta alla settimana...inserirò qualche scritto, nell'attesa che le ormai famose statue di Monti Prama siano ultimate nel restauro e possano presenziare almeno con due o tre esemplari, come promesso dal neo-presidente Cappellacci, al prossimo G8 di La Maddalena...al posto dei Bronzi di Riace richiesti da Berlusconi.
 
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.pierlu.
view post Posted on 23/2/2009, 13:35




Dopo la doverosa spiegazione di cosa è una stratigrafia devo aggiungere qualche altro strumento che consente ai non addetti ai lavori ad affrontare la lettura di argomenti di storia antica o archeologia.

Le fonti scritte:
La letteratura ci offre tantissime pagine scritte in epoca lontana (da Iliade e Odissea in poi) e un buon ricercatore deve conoscere autori, pensiero dell'epoca (per filtrare le opere di ciò che era l'indirizzo dato dagli autori sotto l'influsso del governo del momento), eventuali errori (di trascrizione o di interpretazione) e evntuali altre copie con cui fare una comparazione.
Non bisogna mai trascurare che durante il medioevo tutto veniva elaborato dagli amanuensi all'interno dei monasteri e...ci furono notevoli condizionamenti.

Le fonti orali:
storie, leggende, miti, tradizioni, feste...sono tutte valide fonti dalle quali trarre spunti per briciole di verità, salvo poi filtrare il tutto e fare comparazioni con le fonti letterarie.

Le fonti materiali:
sono le migliori, se non sono dei falsi e se si azzecca la cronologia (cioè la datazione) offrono il miglior mezzo per "leggere" la verità

La cultura individuale:
indispensabile per avvicinarsi alla verità ed evitare cantonate clamorose (che però sono sempre dietro l'angolo) è studiare, crearsi un bagaglio di conoscenze che illumini il sentiero che cerchiamo di seguire e stare con occhi e orecchie ben aperti: se trovo un lcd o una videocamera dentro una sepoltura nuragica...c'è un imbroglio (ho esagerato per capire meglio il problema)

Dopo queste ultime righe siamo pronti per avvicinarci alla comprensione di cosa accadde nella nostra isola oltre 4000 anni fa.
 
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view post Posted on 23/2/2009, 13:44
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Ok pierlu, da ora sei il moderatore della sezione.
 
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.pierlu.
view post Posted on 23/2/2009, 14:35




Grazie comandante...spero di assolvere al meglio. :B):
 
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.pierlu.
view post Posted on 23/2/2009, 19:56




Mentre la mia sposa prepara la cena, inebriato dagli aromi fumanti che vedo oltre il p.c., cerco di comporre l'apertura a questo 3d nella certezza che sarà un lungo viaggio nella memoria e che molti di voi dovranno rivedere le proprie concezioni sulla storia antica della Sardegna apprese a scuola.

Eravamo fermi ad un'isola che disponeva di buone risorse alimentari, era ricca di minerali e della tecnologia per utilizzarli, aveva le sue divinità principali (Dio sole padre della natura e Dea Madre Terra), uno stuolo di altri dei importanti (Toro, acqua, menhir, armi...), un credo religioso, un culto dei morti...insomma una civiltà completa ed evoluta.

Questi presupposti accolsero quelle innovazioni arrivate dall'esterno che sfociarono nella civiltà nuragica. Il modo di vivere rifletteva quello di molte società mesopotamiche che basavano tutto su agricoltura e pastorizia. Quando le nuove genti iniziarono ad integrarsi in Sardegna, la ricchezza di ambedue le culture si fuse in un'unica civiltà e moltiplicò gli interessi e le risorse.
Le comunità agro-pastorali iniziarono a scambiare intensamente i propri prodotti (fra loro e con l'esterno) e si creò presto un problema: bisognava ideare un sistema nel quale una parte della popolazione si dedicava ad attività differenti da quelle solite.
Compaiono in questo momento i fabbri, i costruttori specializzati di case, gli artigiani tessili e manifatturieri e soprattutto i difensori della comunità.
Il governo di ogni tribù era diviso fra un sovrano e la casta di guerrieri che lo difendeva (e difendeva anche la comunità) e presto si presentarono altri due problemi: il regno doveva passare di mano per discendenza reale o per elezione nella casta dei guerrieri?...e ancora...quante risorse servivano per mantenere tutti questi privilegiati?
Visto che accontentare tutti non era possibile iniziarono i conflitti per l'assegnazione di nuove terre e per mostrare la propria superiorità sul vicino.
Siamo intorno al 1700-1600 a.C. e iniziò l'edificazione di torri sempre più alte, più imponenti, più belle in tutti i punti strategici di passaggio e nelle vette dalle quali si dominava il territorio.

Ora la cena è pronta e Pierlu si dedicherà alle delizie della gola. :D
 
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.pierlu.
view post Posted on 24/2/2009, 13:14




Queste torri costituiscono ancora oggi le più complesse, articolate, imponenti e antiche strutture del paesaggio sardo e del mediterraneo occidentale.
Inizialmente i villaggi non erano circondati da mura difensive ma intorno al 1850-1750 a.C. iniziò l'epoca delle cinte murarie con dei semplici filari di pietre (privi di torri) che si elevavano per qualche metro e procedevano intorno ad una serie di capanne principali.
Solo successivamente, con l'avvento di un governo centralizzato che controlla un territorio diviso in clan, si inizia a sentire l'esigenza di erigere degli edifici differenti all'interno del villaggio.
Queste strutture sono delle capanne ellittiche costruite in pietra e ricoperte di frasche simili alle pinneddas. Certamente il potere del capo era legato anche all'aspetto religioso, quindi queste capanne speciali rivestivano il ruolo di residenza fortificata e luogo religioso della comunità...insieme.
Ogni villaggio cercava di controllare territori sempre più estesi e per aumentare il proprio prestigio, nonché dimostrare la propria superiorità sulle comunità vicine, ogni capo faceva costruire capanne sempre più grandi.
Un ruolo importante nella comunità era svolto dalla guardia del sovrano-sacerdote, un gruppo di ministri-soldati che era sollevato dall'incarico di lavorare la terra o praticare la pastorizia per dedicarsi esclusivamente all'aiuto al capo nella gestione del potere governativo.
Questa casta, come ho già scritto, costituiva un problema quando, alla morte del sovrano, si presentava il momento della trasmissione del potere: discendenza reale o nomina fra la casta dei guerrieri? Non sappiamo.
Certamente si arrivò ad una situazione per la quale gli attriti fra guerrieri, corte e resto della popolazione sfociarono in accese discussioni...non sempre pacifiche.
Questa situazione non migliorò nei secoli successivi, diciamo fino almeno al 1500 a.C.
Intanto il territorio sardo era sempre più frazionato fra decine (forse centinaia) di piccoli capi che, in un sistema feudale, riscuotevano tributi dal popolo (che comunque viveva nel benessere economico) e gestivano le risorse per le opere più importanti (edificazione di nuraghi, di cinte murarie e di altre strutture megalitiche come le tombe dei giganti).
 
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.pierlu.
view post Posted on 26/2/2009, 12:48




Visto che siamo sotto carnevale ho pensato di rendere spiritoso questo intervento...non me ne vogliate, anzi ditemi se preferite questo stile o il tradizionale. :D

E a partire da questo secolo inizia l'epopea dei sardi emigranti...ricchi ma emigranti. Sì, perché si sa, i soldi non bastano mai e anche a quell'epoca facevano comodo. C'era la ristrutturazione della casa, una scala nuova, rifare l'aratro, comprare un bue più forte, mettere il tappeto davanti all'ingresso, perché l'altro qualcuno se lo è fregato...
I più baldanzosi si vantavano di essere invincibili e di desiderare una donna egizia (sappiamo bene che le egizie sono tutte belle e curate) e approntavano una imbarcazione concava e nera per spingersi nel Mediterraneo Orientale.
Dopo essere passati dall'artigiano che prepara le vele triangolari e trapezoidali, e aver pagato con un paio di lingotti di rame, c'è da spalmare un nuovo strato di bitume o resina sullo scafo, stringere tutte le corde che tengono unita la barca e fare il carico delle provviste. Qualche anfora di vino allieterà il viaggio, ma il grosso del carico è costituito da olio, granaglie (che servono anche come zavorra), formaggio, pelli, rame, argento, gioielli, armi e...cervello.
La carta nautica è presto fatta: si parte nei mesi estivi, si costeggia l'Africa Settentrionale seguendo le correnti, si arriva in Egitto navigando sotto costa in neanche una settimana e le uniche due soste servono per fare il carico di acqua dolce e a scambiare qualche merce.
Appena giunti alla foce del Nilo bisogna tirare la barca in secco (con la prua rivolta verso il largo...non si sa mai) e rifocillarsi con i cibi piccanti che solerti mercanti egiziani hanno portato nei pressi del nostro approdo per convincerci a fare una lunga sosta per scambiare l'argento con le loro mercanzie.
Il sacerdote che garantisce l'equità degli scambi non è simpatico: si dà troppe arie ma ha portato qualche donna (le prostitute sacre...sacerdotesse ammalianti che danzano per noi), un vino liquoroso che indebolisce le nostre barriere mentali e...possiamo iniziare le trattative.
La carne è debole, si sa, e la trattativa condotta è parzialmente a favore degli egizi, mascalzoni...sanno come prenderci per la gola. Ma su molenti sardu non è stupido e...carica qualche sacerdotessa sulla nave e riporta in pareggio lo scambio.
 
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.pierlu.
view post Posted on 2/3/2009, 19:48




Dopo aver con garbo iniziato la mescolanza dei colori della pelle e delle usanze (pare che i sardi apprezzarono molti "Dei" egizi), iniziano a complicarsi le cose. Alcuni emigrati decidono di stanziarsi definitivamente nelle provincie egizie, altri risalgono l'attuale Libano e si riversano nei territori turchi che all'epoca sono sotto il dominio degli Ittiti, altri ancora, affascinati dai palazzi di Creta vengono conquistati dalla civiltà minoica (quella di Minosse) ma i più erano ancora ammaliati dal mal di Sardegna e rientrarono in patria, non prima di aver creato un gemellaggio con Cipro, l'altra isola del rame insieme alla nostra. Intorno al XV a.C., dunque, la situazione cambiò: alcuni prìncipi si arruolarono al soldo dei faraoni egizi costituendo la guardia reale (Ramesse II per la precisione), altri esportarono l'architettura ciclopica sarda ad Hattusa (capitale Ittita), altri ancora acquisirono esperienze a Creta e Cipro (perfezionarono le tecniche metallurgiche) e così si allargò il cerchio della civiltà sarda che iniziò a trasformarsi in nuragica (dal nome delle torri nuragiche che si moltiplicavano fino a diventare 8.000).
Ricchezze economiche e culturali si riversarono in Sardegna e l'isola divenne la più importante potenza del Mediterraneo Occidentale sfruttando al massimo la sua posizione strategica e le sue miniere di rame e argento (da dove pensate nasca il nome Gennargentu?).
Per capire cosa accadde nel 1330, anno nel quale Dedalo (il grande architetto che introdusse il compasso e la retta tracciata con la fune) inventò lo stile che 3000 anni dopo venne chiamato "gotico", bisogna aprire il discorso e raccontare gli avvenimenti dei due secoli d'oro di Egizi e Ittiti, quando si liberarono dei Mitanni (il terzo incomodo dell'epoca) e conquistarono Ugarit, il porto della Siria che costituiva il crocevia degli scambi fra Oriente e Occidente.
Vi racconterò queste vicende al prossimo post...ora c'è profumo di calde vivande che inebriano i sensi e richiamano verso la sala delle cene. :D
 
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.pierlu.
view post Posted on 5/3/2009, 20:31




Mi scuso in anticipo per la lunghezza del post, ma vi assicuro che abbreviarlo avrebbe snaturato il racconto.

Come promesso, racconterò alcune vicende avvenute fra XV e XII secolo a.C. che aiutano a capire come e perché i sardi costituivano una realtà importante nel panorama delle potenze di quell’epoca.

Iniziamo con la battaglia di Qadesh, conclusa con un armistizio scritto che costituisce il primo trattato di pace dell’antichità.

Il fulcro di tutto il discorso ruota intorno alla città di Ugarit, in Siria, punto d’incontro di traffico e commercio, crocevia mercantile, culturale e militare del mondo antico. Dal suo porto passavano le merci provenienti dalle navi che attraversavano l’Egeo e quelle di paesi ben più lontani che entravano in Asia Minore. I diritti di traffico ed esportazione trasformavano la Siria nella zona di maggior importanza strategica del passato.
La Siria soffriva però dello svantaggio di trovarsi in mezzo alle due grandi potenze politiche e militari della sua epoca: l'impero egiziano e l'immenso Impero Ittita. Come è ovvio, ambedue ambivano al dominio di tale regione per sfruttarla a proprio vantaggio ma due generazioni prima dell’avvento di Ramesse, in gioco vi era anche il gran regno di Mitanni.
Il re di Mittani, sicuro di essere sconfitto, avendo ad est l’avanzata ittita e a sud l’avversità egiziana, decise di offrire un trattato di fratellanza a questi ultimi. La pace fu accettata, e gli emissari del re arrivarono in Egitto nel 1418 a.C. con tributi e saluti per il faraone.
Dopo questo periodo di relativa calma, alcune città vassalle del faraone egizio Akhenaton passarono sotto controllo ittita. Con l'avvento della XIX dinastia, l'Egitto reagì a questa minaccia ed il faraone Seti I riuscì a conseguire qualche successo: Ramesse II, suo figlio, decise di proseguire su questa via e verso il 1275 a.C. intraprese la riconquista di quei territori. I vari conflitti degenerarono ben presto in una guerra vera e propria che nell'intenzione di entrambi gli avversari avrebbe dovuto essere decisiva. La fortezza di Qadesh, vicina a Ugarit, era il simbolo della potenza ittita nel Vicino Oriente, e malgrado la sua fama di inespugnabilità, fu l'obiettivo della campagna militare egiziana.
L'esercito egiziano era organizzato tradizionalmente in grandi corpi organizzati a livello locale. Contavano ciascuno 5000 soldati divisi tra 4000 fanti e 1000 aurighe che guidavano i 500 carri da guerra aggregati a ciascuna divisione. Ramesse II, conscio della forza della armata ittita, lo ampliò e lo riorganizzò. Le truppe mercenarie che componevano ogni divisione erano composte da 1.600 Qeheqs (beduini del deserto occidentale), 880 arcieri Nubiani, 100 Mashuash (libici) e 520 Sardi. Partita nel maggio del 1274 a C., la spedizione, attraversa i territori di Canaan in Galilea per poi inoltrarsi fino a Qadesh, nella Siria attuale.
Il re degli Ittiti Muwattali era riuscito a formare la più grande coalizione mai vista fino ad allora: 40.000 uomini armati e 3700 carri da guerra, quei carri di cui anche nella Bibbia si parlava con terrore, provenienti da 17 province e regni alleati.
Gli eserciti che si scontrarono a Qadesh sotto molti aspetti si somigliavano e la caratteristica più importante che li accomunava era l'utilizzo dei carri da guerra, tuttavia vi erano decisive differenze: il carro ittita era più robusto rispetto a quello egizio e poteva portare tre soldati, l'auriga e due combattenti. Da un punto di vista strettamente strategico, era usato come arma di sfondamento della prima linea nemica. Quello egizio, più leggero, poteva portare solamente due militi.
L'arma dei carri egizi era quasi esclusivamente l'arco; quello ittita, invece, oltre che a quest'arma da getto, era provvisto di un'asta, che veniva usata, sia per il combattimento corpo a corpo, sia come arma da lancio.
La leggenda egizia ci tramanda che due beduini vennero catturati e interrogati dagli egizi e affermarono che Muwattali, timoroso di Ramesse II, si trovasse ancora lontano, alla frontiera nord dell'impero ittita. Accompagnato dalla sola divisione di Amon, Ramesse II, credendo al racconto, fece installare il suo campo sulla riva ovest del fiume Oronte, in prossimità della fortezza di Qadesh, senza attendere i rinforzi delle tre altre divisioni che si trovavano a diverse ore di marcia. In seguito i beduini confessarono che in realtà l'armata ittita si trovava appena dietro la fortezza, sulla riva est dell'Oronte. Il faraone riunì subito i suoi consiglieri di guerra ed inviò dei messaggeri con l'ordine di far affrettare la marcia alle truppe restate indietro. Ma improvvisamente gli ittiti, attraversando il fiume, attaccarono la divisione di Re che tentava di congiungersi con il campo del faraone. Dopo averla sbaragliata, si diressero sul campo di Ramesse II mentre la divisione di Ptha stava ancora indietro apprestandosi ad attraversare la piana dell'Oronte; quella di Seth invece si trovava lontano, nella foresta di Labouy.
La sola divisione di Amon dovette quindi affrontare 2500 carri e migliaia di soldati dell'armata ittita. Nonostante la disperata resistenza egiziana, l'armata ittita riuscì a sfondare e a penetrare nel campo nemico. Ramesse II si lanciò nella mischia con la sua guardia reale (i sardi) e riuscì a contrastare gli ittiti fino all’arrivo dei soldati della divisione di Ptah che, insieme a quelli che restavano della divisione di Re, affrontarono uniti i nemici.
Il giorno dopo Muwatalli inviò una proposta di armistizio a Ramesse II che, dopo avergliela accordata, ritornò in Egitto, senza tentare la conquista di Qadesh, facendo poi scolpire sulle mura di diversi templi (come quello di Abu Simbel) i bassorilievi che ancora oggi raccontano la sua grande vittoria.
Nonostante la propaganda egizia, possiamo immaginare ciò che realmente sia accaduto. Ramesse II è caduto in un'imboscata tesa dal sovrano ittita Muwatalli, il quale, con l'intento di chiudere in fretta i conti con il faraone, sembra non abbia calcolato bene i rischi dell'attacco iniziale, non impegnando nella battaglia tutte le sue truppe, ma solo quelle più mobili, comandate dagli alti dignitari del regno (probabilmente convinti di partecipare ad una facile vittoria).
Intanto la situazione internazionale stava mutando e gli Ittiti iniziarono ad affrontare un'altra minaccia, sempre più pressante: quella degli Assiri. Il re degli ittiti a questo punto riannodò i contatti con Ramesse; il suo intento era quello di firmare la pace e di contrarre a sua volta un' alleanza con l'Egitto. Le relazioni tra le due corti ripresero vigore ed i due re si scambiarono regali ed anche le loro relative mogli: Puduhepa e Nefertari.
La pace fu finalmente firmata ed il trattato, del quale sono state ritrovate delle copie a Tebe ed a Hattusa, comprende diverse clausole che indicano una vera e propria alleanza tra i due regni. I due sovrani giurarono a vicenda buona pace e fraternità eterna e per circa 50 anni tutto filò liscio.

Dopo questo periodo di pace accaddero una serie di eventi terribili e il mondo cambiò…arrivarono i popoli del mare (comandati dai sardi) che misero a ferro e fuoco tutti gli imperi del passato radendo al suolo tutte le città più importanti.

Il prossimo post racconterò gli avvenimenti che hanno posto fine al mondo antico e che hanno creato i presupposti per la nascita di quella grande civiltà che ci ha insegnato la democrazia: i greci.


 
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.pierlu.
view post Posted on 10/3/2009, 17:38




Cari ragazzi...questo post mi è costato tanti giorni di fatica e chiedo venia se è lunghissimo.
Consiglio solo a chi è veramente incuriosito dalla storia sarda antica di continuare la lettura ma prometto che chi avrà il tempo e la voglia di leggere rimarrà soddisfatto e aggiungerà una briciola di orgoglio sardo alla sua personalità.

Buona lettura.

La fine del mondo è stata preannunciata varie volte nel passato e nel presente, ma nel 1200 a.C. avviene davvero, e nessuno l’aveva prevista. Nel giro di una generazione scompaiono le più grandi civiltà del tempo. Migliaia di persone muoiono o perdono ogni cosa. Tutto è crollato di colpo ma quello che è successo resta un mistero.
E’ lo stesso disastro a cui fanno cenno l’Iliade e l’Odissea di Omero. Il libro di Giosuè e quello dei Giudici del Primo Testamento. Ma cosa ha provocato questa immane catastrofe? E’ stato l’uomo o madre natura? Gli oggetti lasciati dagli antichi permettono agli archeologi di ricostruire il passato: i tesori della tomba di Tutankhamon, le torri in rovina dei maestosi palazzi di Cnosso, il vasellame e i rilievi su pietra che descrivono enormi ricchezze e guerre senza fine.
Siamo nell’area del Mediterraneo nel 1300 a.C. in piena Età del Bronzo, la lega in cui sono forgiate le armi dell’epoca. Esteso dall’Egitto fino al Mar Nero, il mondo civilizzato dell’epoca è un amalgama di molte popolazioni dominate dai re e dai loro eserciti. I minoici e i micenei, gli eroi delle leggende omeriche, costruiscono i loro palazzi in Grecia, a Creta e nelle isole egee.
Il Faraone Ramesse II, lo stesso che è citato nel Primo Testamento, trasforma per sempre con i suoi celebri monumenti il paesaggio di Karnak. I bellicosi Ittiti, i nemici giurati dell’Egitto, dominano l’odierna Turchia e il nord della Siria, mentre i Cananei, i mercanti delle grandi rotte commerciali, controllano quella che, in seguito, diverrà nota come Terra Santa. E’ un mosaico di molti regni diversissimi tra loro per cultura e per struttura sociale. Eppure quando gli archeologi iniziano a scavare in quest’area, negli anni ’30, scoprono una inquietante costante.
Ci sono i segni di una serie di eventi catastrofici: per una ragione o per l’altra gran parte delle principali città e dei palazzi è andata distrutta. Le tracce di devastazione sono piuttosto estese praticamente in ogni angolo dell’area, e il periodo del collasso è lo stesso: gli anni a cavallo del 1200 a.C. Nel giro di 50 anni si registra la scomparsa di almeno quattro grandi civiltà. Spariscono i micenei, i minoici, gli ittiti e i cananei, e l’Egitto ne esce così indebolito che non tornerà mai più lo stesso. E’ questa la cosa straordinaria: le grandi potenze del mondo antico vengono ridotte ai minimi termini nel giro di un paio di generazioni.
L’epoca di Ramesse II ha un inizio vigoroso, caratterizzato dalla costruzione di alcuni edifici più belli della storia e da un incredibile ricchezza. Poi nel tessuto sociale, nell’economia e nella religione compaiono i segni di un inesorabile declino. Durante il regno di Ramesse III c’è un’inflazione tremenda, i monumenti diventano più piccoli, si registrano enormi problemi economici in rapporto alla base imponibile perché gran parte della terra tassabile è stata rimossa dai registri catastali.
Molti ritengono che a partire da questo periodo gli egiziani perdano la fiducia in se stessi, ora ci si rivolge agli Dei per motivi molto diversi. Nei geroglifici troviamo preghiere del tipo: “Dio aiutami”, che prima di allora non si erano mai viste. Dopo un secolo di progresso che vede lo sviluppo della prima scrittura alfabetica a Ugàrit nel 1300 a.C. e della prima annotazione musicale in Siria, i documenti scritti si interrompono di colpo. Quella che segue prenderà un nome emblematico: l’Età oscura.
Nell’area dell’Egeo e del Mediterraneo Orientale quest’epoca ha due connotazioni: da un lato il mondo antico perde gran parte delle caratteristiche di grande civiltà. In effetti si fa fatica a parlare di civiltà nel senso che diamo al termine, perché per un paio di secoli scompare. In Grecia dimenticano la scrittura, non sanno più come costruire grandi edifici e ci vogliono 300 anni per uscire da questo empasse, ma è un periodo oscuro anche per gli studiosi.
Senza testimonianze scritte gli archeologi restano perplessi di fronte alle migrazioni di massa di tutto il mondo antico risalenti al 1200 a.C. Sull’isola di Creta i mercanti e gli artigiani lasciano la costa per spostarsi nell’entroterra, fino alle regioni montagnose del centro dell’isola, popolate da contadini e pastori. Nell’istmo del nord, sembra che nel periodo miceneo non ci fossero insediamenti ad eccezione di un esiguo numero di piccoli villaggi. La popolazione è scarsa. Nel XII secolo a.C. cresce in modo significativo, ma da dove provenisse questa gente e per che motivo non è affatto chiaro.
Le città devastate che si lasciano alle spalle testimoniano che il loro non è stato un esodo pacifico. E’ molto difficile determinare le cause di eventi di questo tipo. Quando si scava è logico che si è alla ricerca di ciò che è andato distrutto, alle tracce di incendi, di cenere, di legno bruciato, di scheletri…ma cosa ha provocato tutto ciò?
Forse la risposta non va cercata fra le macerie di questi palazzi, ma nelle montagne che li sovrastano. Alcuni archeologi hanno trascorso oltre un ventennio a ripercorrere i sentieri che portano sulle ripide vette dell’Egeo. Ed è qui che hanno seguito le tracce dei sopravissuti nella speranza di scoprire come e perché il loro mondo è crollato. Nelle montagne e valli dell’Egeo umili pastori e contadini coltivavano orzo, lenticchie e ulivi.
Nell’estate del 1983 l’archeologo polacco Krzysztof Nowicki, che all’epoca è un ventiseienne che studia per il dottorato, si arrampica per la prima volta sul monte Karfi, sull’isola di Creta. Lo studente vuole studiare un altare costruito sulla sommità del monte nel periodo neolitico. Ma una volta arrivato a 1200 metri di quota, il polacco è attratto dalle rovine di un villaggio di montagna che fu scoperto negli anni ’30 dal celebre archeologo John Pendlebury che poi ha abbandonato gli scavi.
Dopo aver sperimentato uno dei rigidi inverni della vetta di Karfi, l’inglese ha dedotto che si tratta di un insediamento solo stagionale. Ma a Nowicki queste rovine composte da grandi blocchi di pietra sembrano qualcosa di completamente diverso. Quello che è interessante, delle case di Karfi, è che sono ben costruite. La tecnica costruttiva dimostra che questa gente intendeva vivere per molto tempo in questo villaggio e che si trattava di un insediamento permanente.
La mappatura e la ricostruzione del sito ottenuta dalla pianta emersa dagli scavi confermano i sospetti del giovane archeologo. Gli scavi hanno portato alla luce ben 30 case. Allo stato attuale queste costruzioni sono in un pessimo stato di conservazione, tuttavia si possono distinguere le pareti e le singole stanze. Siamo in grado di distinguere anche le singole abitazioni. Quello di Karfi era un grosso villaggio e non un piccolo insediamento. Probabilmente accoglie circa 150 famiglie che equivale ad una popolazione di oltre 600 individui.
Questo centro sorto a 1200 metri sul livello del mare sembra stranamente fuori posto. Non ci aspettiamo di trovare un insediamento di queste dimensioni a queste altitudini perché in inverno il luogo è molto ventoso e gelido. Non è un luogo piacevole nel quale vivere. Che cosa ci fa qui un villaggio così grande che si trova molto più in alto di quelli situati in collina e in pianura?
Dobbiamo chiederci perché questa gente si è trasferita lassù. Perché ha costruito le case in luoghi dove per arrivare bisogna arrampicarsi in pareti scoscese? Perché hanno deciso di portare fino a lì le loro famiglie? Perché hanno deciso di trasferire nelle vette di quelle montagne il loro intero sistema economico?
La datazione al carbonio effettuata da Nowicki sul vasellame e su altri manufatti lo colloca fra il bronzo medio e il bronzo recente, all’epoca della grande catastrofe nel 1200 a.C. Fino a quel momento la popolazione viveva ancora nelle pianure e nelle valli, in prossimità della costa. Poco prima del 1200 a.C., invece, molti di questi insediamenti al livello del mare sono stati distrutti o abbandonati. Quale fu la causa di questi cambiamenti così improvvisi e radicali?
La maggior parte delle teorie si fonda sull’onnipresente minaccia di un disastro naturale. Alcuni puntano il dito su una gravissima siccità che avrebbe interessato tutta l’area dell’Egeo e del Mediterraneo orientale e forse persino parte dell’Europa, provocando una serie di migrazioni. Un’altra possibilità sono i violenti terremoti che sconvolgono questa regione con regolarità. Alla fine della tarda Età del bronzo, nell’arco di 50 anni, varie città nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale sono state distrutte da un sisma. Micene è stata annientata da un terremoto, come del resto Troia quarta, probabilmente la stessa sorte è toccata a Ugàrit e a Megiddo, in Israele.
C’è chi ha ipotizzato che un unico evento sismico abbia spazzato via tutti questi centri. Il problema è che sono stati distrutti nell’arco di 50 anni ma in momenti diversi. Tuttavia, anche se i terremoti non coincidono, potrebbero essere collegati tra loro.
Esiste qualcosa che oggi i geologi chiamano tempesta o sequenza sismica. Un terremoto a volte non basta a liberare tutta l’energia della faglia, ma ne sprigiona solo una parte. Quella successiva sarà liberata un anno o, forse, un decennio più tardi e allora la faglia si aprirà da est verso ovest o da nord verso sud, e alla fine avremo quello che si definisce una “sequenza sismica”. Di solito dura fra i 30 e i 60 anni. Molte delle città che vengono distrutte dai terremoti si trovano sulla linea di faglia, oppure in una zona ad alta densità sismica. In effetti se sovrapponiamo una carta geografica delle città devastate alla fine della tarda Età del bronzo, con una delle zone ad alta sismicità, troveremo una corrispondenza impressionante.
Ma da sempre la teoria del terremoto ha i suoi detrattori. Le comunità si riprendono abbastanza in fretta da eventi simili, anche se ripetuti nel tempo, e, secondo Nowicki, nessun evento naturale può spiegare il fatto che una popolazione si trasferisca in un luogo ancora più inospitale. E’ assurdo che questa gente abbia trasferito il proprio villaggio su un cucuzzolo a 1200 metri di quota. Di solito dopo un evento naturale la gente non scappa e cerca di ricostruire il luogo dove abitava.
Per Nowicki questi luoghi così selvaggi rappresentano l’unica risorsa o rifugio difendibile in grado di offrire protezione non da un disastro naturale ma da un popolo nemico. Insomma, non c’è motivo di vivere in una sporgenza a ridosso di una gola o su delle colline rocciose, a meno che non ci si senta minacciati da un altro popolo. Ma se questa teoria fosse vera dovrebbero trovarsi sui pendii di Creta decine di rifugi ancora da scoprire: insediamenti nascosti e dimenticati da secoli. Se gli archeologi li scoprissero ci rivelerebbero dettagli sulla lotta per la sopravvivenza dei superstiti costretti a cercare scampo da quel temibile nemico.
Le teorie ipotizzano un disastro naturale, un’epidemia, la collera di un Dio infuriato che ha voltato le spalle…e se invece si trattasse di un nemico in carne ed ossa? E se così fosse, quale popolo sarebbe stato in grado di cancellare dalla storia queste grandi culture nello spazio di appena una generazione?
Per decenni gli archeologi passano al setaccio decine di siti ma riescono a raccogliere solo qualche dato scarso. Poi, negli anni ’30, nella Siria settentrionale, viene rinvenuta una tavoletta di pietra che reca un messaggio disperato. Scoperta tra le rovine del palazzo di Ugàrit, distrutto dal fuoco intorno al 1200 a.C., le parole incise sulla tavoletta preannunciano il disastro imminente. Il re di Ugàrit dice:
“Padre mio, sono state avvistate 7 navi nemiche, hanno già arrecato grave danno alla mia terra, se scopri qualcosa ti prego di farmelo sapere”.
La tavoletta non è mai stata spedita, è stata trovata nel forno pronta per essere bruciata, quando quelle navi sono, ovviamente, tornate indietro e hanno bruciato la città. Chi è il misterioso nemico di cui parla la tavoletta?
Solo una civiltà, l’Egitto, sopravvive al collasso dell’Età del bronzo, e gli ha dato un nome. Alcuni antichi geroglifici parlano di un avversario terrificante: i guerrieri noti come popoli del mare. Tutti i particolari sull’aspetto e sui mezzi di trasporto di questa gente ci arrivano dagli egizi. Oltre ai testi che compaiono sulle pareti dei loro monumenti, ci hanno lasciato anche delle rappresentazioni pittoriche che ce ne danno una descrizione. Possiamo osservare i loro elmi, il tipo di acconciature, vediamo che si spostavano con carri trainati da buoi. In alcuni casi accompagnati dalle loro famiglie, le mogli, i bambini e le loro proprietà mobili.
Si trattava di una migrazione di massa che ha coinvolto tutte le antiche culture del Mediterraneo orientale. Non era mai accaduto prima di allora, Tutte le civiltà di quell’area, persino le più potenti come quella egiziana, sono state travolte dal loro passaggio. Non venivano soltanto per depredare ma, anche, per insediarsi. Le genti delle coste e delle valli, i pastori e gli agricoltori, si sono precipitosamente rifugiati nelle alture che conoscevano bene.
E’ ipotizzabile che quella dell’insediamento montano di Karfi non sia un’anomalia ma un esempio dell’evacuazione sistematica di un popolo. A Karfi notiamo cime ripidissime, insidiosi strapiombi, antichi appigli scavati nella roccia. Poco distante da Karfi, in una cima rocciosa, l’archeologo polacco fa un’altra importante scoperta: l’insediamento di Katalimata. Il sito può essere raggiunto solo scalando una ripida pendenza, per poi arrampicarsi lungo un percorso invisibile dal basso, lungo la parete rocciosa della montagna.
Nel 1990 il polacco si fa accompagnare dall’archeologo americano Donald Haggis che gli fa da testimone inoltrandosi nella gola alla quale si accede dopo la scalata. I manufatti ritrovati nel sito delineano il sistema di vita della gente che abitò lassù. Questi semplici contadini e pastori dell’entroterra dovettero trasportare tutte le loro proprietà, una per una, lungo questi sentieri di montagna. I vecchi e i malati devono essere trasferiti di peso e i defunti vengono sepolti in grotte scavate nella montagna.
Questa gente è costretta ad abbandonare i campi e il bestiame, infatti lo portano con sé solo se le condizioni lo permettono. Le tracce raccolte dimostrano che il luogo fu abitato per un tempo molto lungo, nonostante sia inospitale e non favorisce lo sviluppo di una comunità. Ma nonostante le condizioni proibitive, Katalimata offre un indubbio vantaggio: assicura protezione.
Questi luoghi possono tramutarsi in un incubo per gli stranieri che non li conoscono a fondo. Senza una profonda conoscenza della topografia locale sono posti molto difficili da individuare. Sono come fortezze e sfruttavano la conformazione del terreno, infatti gli abitanti non si limitarono ad utilizzare l’ambiente ma costruirono fortificazioni molto efficaci.
Se un eventuale nemico provasse ad avvicinarsi via mare o via terra, sarebbe visibile da chilometri di distanza, dando il tempo di organizzare la difesa. Inoltre gli invasori sarebbero costretti a procedere in fila indiana e durante la scalata lungo la parete non potrebbero impugnare le armi. Un pugno di difensori sarebbe stato in grado di sbarrare il passo ad un gruppo molto numeroso di nemici.
Qualche anno dopo la scoperta di Katalimata, l’archeologo polacco ha individuato una sessantina di altri insediamenti risalenti al 1200 a.C. sulle montagne di Creta. Tutti hanno in comune l’orientamento e la struttura e questo convince Nowicki che il nemico arrivava dal mare. I siti sono completamente esposti alle montagne che si trovano alle loro spalle. Questo significa che non si aspettano un attacco da quel versante ma hanno paura dei guerrieri che arrivano dal lontano mare. Ma chi sono questi temibili invasori? Da dove vengono? Dove vanno?
La storia, si dice, la scrivono i vincitori, e nell’anno 1180 a.C. il faraone Ramesse III sconfigge i popoli del mare, i misteriosi guerrieri che, secondo alcuni, avrebbero distrutto tutti grandi imperi del mondo antico. Sopravvive solo l’Egitto, e saranno proprio gli egizi a tramandarci la prova più interessante sull’identità di questi predoni. In un memoriale scolpito a Medinet Habu (Tebe), gli egizi identificano 9 fazioni dei popoli del mare. Una lista su cui i linguisti continuano ancora oggi ad interrogarsi. Molte delle teorie sulla provenienza di questi guerrieri sono fondate sulla filologia, vale a dire sui nomi dei vari gruppi. Si ritiene che ogni fazione arrivasse da luoghi sparsi nel Mediterraneo. Ma è il luogo dal quale provengono o quello in cui vanno dopo l’ultimo scontro con gli egizi?
Sono ormai decenni che i nomi dei popoli del mare dividono la comunità scientifica. Alcuni indicano la Turchia sud-orientale, il nord della Siria, il Mediterraneo orientale come probabili basi di partenza. Altri affermano che siano originari della Sardegna, della Sicilia e delle regioni dell’Italia meridionale. Secondo una teoria, il mondo antico è molto vulnerabile ad attacchi dall’interno a causa della sua stessa struttura fondata su corti e re onnipotenti.
Il sovrano controllava praticamente ogni cosa. Esistevano delle imprese private, dei mercanti, ma è il monarca a governare il paese: comanda l’esercito e gestisce il commercio internazionale, controlla quasi completamente la vita quotidiana dei sudditi. In molte realtà, sembrava che re e regine vivessero accanto agli dei e, in effetti, erano i loro rappresentanti sulla terra. Inoltre c’è sempre un esercito sotto il controllo del sovrano. Al di sotto ci sono tutti gli altri, il cui unico ruolo è quello di assecondare tutti i desideri delle divinità e del monarca.
Per operai e contadini, l’unico modo di fuggire a questo rigido sistema gerarchico è di prestare sevizio nelle armate del re. Per scoprire il loro ruolo è necessario capire come si combatte nel mondo antico. Probabilmente il fulcro di una tipica battaglia dell’Età del bronzo era la carica di due aurighi, uno contro l’altro. Di sicuro erano centinaia, forse persino migliaia, e i guerrieri sui carri disponevano di armamento pesante. La loro arma principale era l’arco composito, dunque i combattimenti erano sempre a lungo raggio. Naturalmente, una volta colpito il bersaglio e fermato il carro nemico, qualcuno doveva andare ad uccidere l’equipaggio. E’ in questa fase che entravano in gioco i cosiddetti “corridori”, i barbari ingaggiati per terminare l’opera nelle battaglie iniziate dai carri. Questi anonimi gruppi di mercenari sono reclutati nelle parti più disparate del mondo antico, spesso in quelle più povere.
Le tavolette in nostro possesso specificano in modo chiaro che a corte gli aurighi erano trattati coi guanti bianchi. Probabilmente si trattava di una vera e propria elìte, invece i corridori facevano più che altro numero. Insomma, dal punto di vista della classe sociale c’era un’enorme differenza fra queste due categorie. Durante i periodi di guerra questi fanti hanno un loro ruolo, ma negli anni che portano al grande collasso si registra un periodo di pace senza precedenti.
Il trattato siglato da Ramesse II e dagli Ittiti, aveva messo fine alle ostilità. E’ un po’ quello che è accaduto dopo la prima e dopo la seconda guerra mondiale con la firma dei trattati di pace da parte delle grandi potenze. Questo trattato ha messo fine alla secolare guerra tra i due colossi dell’epoca e ha garantito circa 50 anni di pace. Sicuramente ci fu un periodo di grande prosperità, poi arrivò il collasso.
E’ possibile che la mancanza di lavoro abbia spinto i corridori, i soldati di rango più basso, alla rivolta? O, forse, questi soldati disoccupati vengono arruolati da un nemico esterno?
Senza una forte autorità centrale, questi guerrieri erano abbandonati a loro stessi, o si trovavano sotto la supervisione dei capi locali. Potevano fare di tutto, erano praticamente intoccabili. I documenti egizi indicano che per più di 50 anni nel mondo antico, una nuova coalizione conquista i gangli nevralgici del potere.
Quegli stessi documenti ci dicono che ci sono state successive ondate di popoli del mare, e fra la prima e la seconda invasione si registra un cambiamento nella composizione di questi gruppi. Di certo collaborano come alleati, ma non è sempre stato così: quello che vediamo non è che il risultato finale, è l’ultima onda che si sta infrangendo contro l’Egitto.
Come dimostrano i bassorilievi, i popoli del mare sono armati, più o meno, come i corridori che affiancano i carri da guerra egizi. Non dispongono di armamento molto pesante perché li avrebbe rallentati oltremisura, limitando l’efficacia durante il combattimento. Usavano piccoli scudi rotondi, formati da una struttura di legno ricoperta di cuoio, e indossavano un elmo. Non era molto pratico ma aveva un effetto psicologico positivo oltre ad offrire una difesa alla testa.
Anche se forse non sarà possibile risalire all’origine esatta di questi guerrieri, possiamo individuare una delle loro basi di appoggio: a Kastri, sulla costa cretese, ci sono i resti di un insediamento molto diverso da quelli dislocati nelle montagne. In cima ad una collina sul mare ci sono resti di merlature che indicano una forza bellica con una certa esperienza.
Quelli che vivevano a Kastri non erano semplici contadini o pastori, l’area è troppo esposta. Un piccolo gruppo di agricoltori non è in grado di difenderla. Qualunque invasore avrebbe potuto sopraffarli facilmente. L’approdo di Kastri offre notevoli vantaggi a chi si muove per mare ed è di fronte alle coste di Creta, a quelle italiane e alle isole vicine. Poteva ospitare una flotta navale e qualche centinaio di soldati; questo era sufficiente per organizzare un’invasione alle coste dell’isola.
Del resto anche negli anni ’40 anche gli invasori tedeschi occupano la collina nel tentativo di controllare Creta. Ma mentre i tedeschi sono stati cacciati via, i misteriosi guerrieri dell’antichità riescono a soggiogare l’intero egeo. Il livello di devastazione, specialmente nell’Anatolia e nella Grecia centrale non dà l’idea di un gruppo disorganizzato, ma indica la presenza di una macchina militare di grande efficacia. Nonostante questa potenza sia composta da invasori stranieri, guerrieri locali insoddisfatti o dalla loro combinazione, la domanda fondamentale è: come è possibile che un’accozzaglia di mercenari riesca a spazzare via le più grandi potenze del passato?
Forse la risposta non è nell’origine di questi popoli, ma nelle loro tattiche di guerra. La rovina delle città micenee e le città costiere fatte a pezzi sono la dimostrazione della forza d’urto di questi invasori. La disperazione dei sopravissuti è percepibile dai precari avamposti di montagna che hanno costruito su Creta. Tutte queste grandi civiltà, dai minoici agli Ittiti, sopravvivono a pestilenze, carestie e terremoti, ma soccombono ad un nemico in carne e ossa, una misteriosa armata di barbari chiamata “popoli del mare”. Ma questi invasori non hanno né carri da guerra né armature, come possono affrontare gli eserciti nemici?
La risposta cambierà per sempre il modo di combattere le guerre. Nel XIII a.C. qualcuno ha finalmente compreso che per vincere una battaglia non servono costosi contingenti di soldati su carri da guerra. Per annientare un’armata composta da carri basta mettere insieme un numero sufficiente di corridori. Un’arma in particolare permetterà di trasformare questi semplici fanti in formidabili guerrieri, un semplice strumento che prima del collasso viene usato soprattutto per la caccia: il giavellotto. E’ un’arma corta, misura poco più di un metro di lunghezza, e ha la punta forgiata in metallo. Forse non erano in grado di produrre sempre ferite letali, ma se centravano il bersaglio provocavano molti danni.
Quando il carro diventa inservibile, di colpo l’auriga viene circondato dai corridori e diventa vulnerabile. L’auriga e il suo arciere indossavano come armatura un corpetto a squame metalliche di peso variabile fra i 15 e i 20 chilogrammi, quindi non potevano fuggire e non erano in grado di difendersi in un combattimento corpo a corpo. E’ in situazioni del genere che uno sciame di corridori armati con spade corte e scudi leggeri è in vantaggio in termini numerici e di mobilità. A quel punto è sufficiente ferire il cavallo, e il carro diventa inutile. Se si riesce ad abbattere l’animale col giavellotto da una distanza di 40/50 metri, si può accorciare la distanza di combattimento e ingaggiare un corpo a corpo con armi adatte.
Dopo ogni vittoria gli invasori aumentano di numero e si espandono in tutto l’Egeo. Solo l’Egitto è in grado di resistere al loro impatto, anche se non ritornerà più ai fasti di un tempo. Ma come hanno fatto le armate del faraone a opporsi a un’orda che ha spazzato via potenze del calibro dei micenei, degli ittiti e dei minoici?
C’era una frenetica attività diplomatica e commerciale e, in particolare, una grande quantità di oro aveva lasciato l’Egitto mentre si importavano cavalli e ogni altro tipo di beni, dunque fra queste potenze si viveva un periodo di grande comunicazione. Era arrivata la notizia che alcuni popoli erano in arrivo nei territori egiziani e questo fu fondamentale per organizzare le difese. Per affrontare questi invasori hanno spostato anche la capitale a nord del regno.
Gli egizi ottenevano informazioni per mezzo di messaggeri e corrieri che fuggivano dalle altre potenze man mano che soccombevano. Certamente nel mondo antico esistevano straordinarie reti di spionaggio e sicuramente l’Egitto disponeva di un proprio gruppo di informatori, perciò sapevano cosa stavano per affrontare. A quel punto appresero che a dispetto del loro nome, i popoli del mare prediligono combattere a terra e non in acqua.
Nel 1179 a.C. Ramesse III ha pensato bene di impedire a questi predoni di sbarcare nel paese. Gli egizi ci hanno lasciato resoconti testuali e pittorici che descrivono uno scontro che si svolse presso un luogo dove l’acqua era presente, anche se non si sa bene se fosse il mare o l’estuario di un fiume. Ci sono delle imbarcazioni, si vedono uomini affogare…è una battaglia navale in piena regola.
Gli invasori erano a bordo delle loro navi, e in acqua erano vulnerabili, perciò gli arcieri egizi li presero di mira dalla costa e dalle loro imbarcazioni, è stato un tiro al bersaglio. Decimata dagli arcieri del faraone, l’ultima ondata dei popoli del mare si disperde, ma quella guerra ha cambiato volto per sempre alla storia dei combattimenti.
Nella tarda Età del bronzo la difesa di un territorio si basava su unità di aurighi e sui loro arcieri. Nell’Età del ferro, successiva a questa catastrofe, la fanteria ha acquistato sempre maggiore importanza, mentre i carri hanno assunto un ruolo sempre più marginale. Continuavano ad essere impiegati nelle operazioni di fiancheggiamento perché c’era sempre bisogno di una forza a cavallo, ma adesso il fulcro di ogni esercito era la fanteria. Nel giro di pochi anni i re e gli eserciti del mondo antico crollano di schianto. Al loro posto emerge una nuova classe dirigente: i popoli del mare creano un vuoto di potere.
Quando eliminano le grandi potenze della tarda Età del bronzo, la situazione cambia di colpo: l’elìte di un tempo viene spazzata via, restano le classi inferiori, contadini, allevatori e schiavi. Adesso cosa faranno, una volta sopravissuti?
Nel caso dei pastori e degli agricoltori di Creta le tracce archeologiche parlano chiaro: dopo la dispersione dei popoli del mare, lentamente i sopravissuti tornano a popolare le valli, molto più vicino ai campi. Non sentiranno più il bisogno di difendersi costruendo insediamenti ad alta quota.
Per quanto riguarda i popoli del mare, gli egizi ci dicono che alcuni si stabilirono in Egitto integrandosi, altri arrivarono nella terra di Canaan. Alcuni testi riportano che a Dor, al centro di Israele, si stabilirono gli Zeker (Tjeker) e che anche i peleset finirono a Canaan, e sono diventati i filistei. Ci fu un mescolamento di popoli e solo un esame del DNA potrà in futuro darci una risposta a riguardo. E’ probabile che tra loro ci fossero molti dei sopravissuti delle civiltà che avevano spazzato via prima di fare rotta sull’Egitto. Perciò del loro contingente facevano parte anche gruppi di micenei, di minoici e di ittiti. Del resto a molti non rimase altra possibilità che unirsi a loro, alla stessa gente che aveva messo fine alla loro civiltà.
E’ dunque possibile che i popoli del mare abbiano assorbito parte delle popolazioni che avevano sconfitto in battaglia. Quello che è innegabile è che dopo il crollo emerge qualcosa di totalmente nuovo. Per alcuni secoli si avrà un’età oscura in quelle terre, nel quale si assiste ad un rimescolamento delle diverse etnie, ma dalle ceneri della civiltà nasce quella fenicio-greca e sulla scena compaiono nuovi sistemi politici e nuove civiltà.
Con l’arrivo dei greci emergono alcune novità che, col tempo, portano alla nascita della democrazia. I popoli del mare hanno distrutto un mondo, ma pur con le peggiori intenzioni hanno creato nuove opportunità per gente che prima non ne aveva mai avute. Sulla scena compaiono gli israeliti, Davide e Salomone e i regni di Israele e di Giuda, che probabilmente non avrebbero visto mai la luce senza il crollo delle potenze della tarda Età del bronzo.
Dunque i popoli del mare determinano il crollo del vecchio regime e l’inizio di una nuova era. L’esatta catena di eventi che ha portato alla fine di un’epoca e all’inizio di un’altra è ancora parzialmente avvolta nel mistero. Fu una combinazione di circostanze, i popoli del mare hanno avuto fortuna ma il loro tempismo è stato perfetto: hanno tratto vantaggio da una serie di disastri naturali.
Ci sono eventi che da soli non sono sufficienti a provocare il crollo di una civiltà, ma messi insieme finiscono per provocare un effetto di amplificazione. I popoli del mare sfruttarono una falla nel sistema interno di quelle grandi civiltà del passato.
Difficilmente gli egiziani o gli ittiti immaginavano di crollare in modo così repentino, ma quando così tanti fattori non collegati l’uno all’altro si uniscono, scatenano un effetto molto più potente della somma delle parti. Una siccità può avere un effetto limitato e lo stesso vale per un terremoto, ma se sommiamo un paio di catastrofi naturali ad eventi calamitosi provocati dall’uomo il risultato può essere del tutto inatteso.
 
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.pierlu.
view post Posted on 12/3/2009, 09:39




Dopo il lunghissimo post sull'origine dei Shardana, e sulle relazioni fra Oriente e Occidente, si chiude il cerchio sulla Sardegna nuragica:
Un popolo ricco ed evoluto che si spinge con alcuni Principi guerrieri nel vicino Oriente e contribuisce alla caduta degli imperi più importanti.
Dopo questa fase il popolo Shardana si divide in vari gruppi.
Alcuni rientrano nell'isola portando altra ricchezza economica e culturale, altri si mescolano con gli Egizi e si stabiliscono nelle provincie a ovest del Nilo fondando alcune città, altri ancora si spingono verso le terre cananee (integrandosi con i popoli del luogo e prendendo il nome di Fenici... :D ), mentre un gruppo si spinge ancora più a Nord attraversando l'attuale Libano e mescolandosi con ciò che restava degli Ittiti. I più audaci si spinsero ancora più a nord attraversando i fiumi che portano in Europa Settentrionale e, forse, arrivarono in Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda e nelle terre dove i loro predecessori si rifornivano di stagno (Cornovaglia e Bretagna).

A questo punto spero di aver fornito qualche strumento per iniziare un dibattito...ad esempio...cosa erano i nuraghi? :D :D
 
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.pierlu.
view post Posted on 16/3/2009, 19:22




Ieri abbiamo visitato il sito archeologico di Pranu Muttedu, presso Goni, nel quale si possono ammirare incantevoli allineamenti di menhir aniconici (non scolpiti), alcune tombe a dolmen, due circoli megalitici, vari menhir sparsi nel territorio del parco e...querce da sughero in abbondanza.

Il culto dei morti era particolarmente sentito nelle antiche comunità sarde e il grande dispendio di risorse necessario per edificare le tombe e posizionare i menhir ne è una dimostrazione.

Quali sono i luoghi di culto funerario (domus de janas e tombe dei giganti) che avete visitato?

Avete qualche curiosità da soddisfare?

Cercherò di rispondere...anche se le ipotesi sulla vita sociale dei sardi sono ancora allo studio.




 
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.pierlu.
view post Posted on 17/3/2009, 16:59




Sentite questi due bimbi di 9 e 11 anni...

https://www.youtube.com/watch?v=RxS2AizFUb0
 
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.pierlu.
view post Posted on 26/3/2009, 10:49




Nel momento stesso in cui compie una serie di atti nella sua vita, ciascuno di noi scrive un capitolo della propria storia. E capisce quasi istintivamente di essere, nel presente in cui vive, il risultato di un complesso intreccio di azioni compiute, di condizionamenti familiari, di influenze derivanti dall’esser nato e cresciuto in un determinato paese, in un gruppo sociale, in un ambiente piuttosto che in altri. Quando poi costruiamo progetti per il futuro, siamo naturalmente portati a creare bilanci. E perciò siamo spinti a guardare indietro, a riflettere sui nostri passi, a valutarli criticamente. Chi non sappia farlo, finisce per non sapere chi sia. Mentre guardiamo all’indietro, lo facciamo inevitabilmente sotto lo stimolo degli interrogativi che la vita ci pone in concreto nel presente: in maniera selettiva, con l’interesse per alcuni aspetti che per altri. Poi nuovi bisogni inducono a ripensare ancora, con l’attenzione verso momenti prima trascurati. Così la nostra coscienza e il nostro spirito elaborano, ricostruiscono continuamente la nostra storia personale. Il che ci rende tutti “storici” di noi stessi. Ma nessuno vive isolato in una cerchia personale o familiare. Quel che è accaduto e accade nel mondo esterno determina in maniera essenziale la nostra condizione e il nostro destino. Anche qui il passato è presupposto del presente e del futuro. E perciò occorre orientarsi, per darsi orientamenti politici, compiere scelte in base ai propri valori, costruire un mondo che risponda alle nostre aspettative.
Gli storici di professione, che scrivono le storie delle città, delle Regioni, degli Stati, della scienza, della tecnica, delle culture, delle religioni, delle grandi personalità…non sono mossi da esigenze diverse da quelle che stimolano i comuni individui a pensare il loro passato. Lo fanno soltanto con tecniche e metodologie più rigorose, sulla base di documenti che la storia ha depositato e accumulato, attraverso una selezione volta ad accertarne l’attendibilità e a stabilirne l’importanza.
Scrivono le loro storie, e quando nuovi documenti appaiono o nuove prospettive si impongono, le riscrivono. Questo scrivere e riscrivere costituisce ciò che si definisce la “storia della storiografia”. Così è avvenuto dal padre della storiografia Erodono, che scrisse le sue “Storie” nel V secolo a.C., fino ad oggi.
Accanto alle storie universali del cammino umano, ai resoconti che raccontano le vicende complessive di Stati, continenti e civiltà, si collocano le storie locali, le quali si pongono come obiettivo di dar conto dei frammenti dell’insieme delle vicende del mondo. Quella che ho presentato in questi post è una di quelle storie locali e, al pari di tutte le opere storiche, è una ricostruzione che riflette da un lato lo stato delle ricerche in una certa epoca e dall’altro le storie di altri luoghi che si sono affiancate, intrecciandosi, a quella del nostro popolo, i sardi nuragici.
Cicerone definì la storia “magistra vitae”, maestra della vita. Bisogna capirsi. Il lettore può chiedere alla storia di aiutarlo a conoscere meglio il passato, ma non deve pensare che uno storico gli comunichi delle “verità” da recepire passivamente e dogmaticamente. Quel che lo studio della storia può fare è fornirgli materia per capire, analizzare, riflettere; è, insomma, trasmettergli il cumulo delle esperienze che le generazioni hanno compiuto: “nel bene e nel male”. Poi ciascuno è chiamato a tirare le proprie somme, a farsi un’idea del mondo. Il che nessuno né può né deve fare per lui. Oggi il mutamento storico corre rapido come mai prima, e perciò occorre conoscere il passato per decidere che cosa della realtà che sta alle nostre spalle vogliamo conservare e che cosa vogliamo cambiare. La democrazia si nutre di conoscenza dei fatti e consapevolezza dei problemi: la storia offre ai cittadini strumenti essenziali per acquisirle.
 
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.pierlu.
view post Posted on 29/3/2009, 20:46




Oggi si è svolta a Santa Vittoria di Serri, l'ultima conferenza sulla civiltà nuragica organizzata dalla Biblioteca Provinciale di Cagliari.
Al termine del dibattito gli autori e i partecipanti si sono uniti per il pranzo in agriturismo e...sorpresa delle sorprese, neanche ci fossimo dati un appuntamento...io e James-t-kirk ci siamo seduti a tavola ma l'incontro è stato casuale, infatti abbiamo preso posto in tavoli diversi. Pranzo luculliano e mirtino tre ore dopo hanno concluso una giornata culturale-gastronomico-paesaggistica che è stata allietata dal canto a concordu di un gruppo di amici che ha intonato le più celebri melodie isolane e ha regalato un tocco di magia a tutti i convenuti.
A breve sarà organizzato un altro ciclo di convegni sempre a cura di Pierlu, partecipate e spargete la voce: si mangia bene, si visitano siti meravigliosi e si conoscono autori di fama con i quali è possibile scambiare 4 chiacchiere davanti a un buon bicchiere di vino rosso sardo.
 
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42 replies since 21/2/2009, 22:54   737 views
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